studioshiatsu

di Stefano Pighini

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I progetti shiatsu con la disabilità

Sulla rivista della FISIEO Shiatsunews si trovano diverse notizie di progetti di supporto alla disabilità. Una grande parte di tali progetti è portata avanti dalla VIS FISIEO la sezione di volontariato della FISIEO. I luoghi dove viene portato lo shiatsu sono residenze sanitarie diurne, associazioni, ospedali. I progetti si basano spesso sul fatto che lo shiatsu è un approccio facilitato per entrare in una relazione di aiuto e scambio con persone disabili.

A differenza della medicina allopatica contemporanea e in maniera più simile alla medicina classica antica (orientale e occidentale) lo shiatsu considera ogni individuo nella sua specificità energetica, risulta quindi naturale un approccio basato sulla sensibilità e sulle caratteristiche individuali della persona portatrice di handicap. In questo modo la presunta deficienza fisica o mentale passa in secondo piano ed il focus è sempre concentrato sulle specificità individuali.

Gli aspetti emozionali sono pertanto presi sempre in considerazione. Come riportano le esperienze molti shiatsuki che operano con le persone portatrici di varie forme di handicap fanno precedere il trattamento vero e proprio da esercizi respiratori di rilassamento, un ottimo sistema per diminuire le tensioni e le ansie superficiali, e per rompere il ghiaccio senza essere invasivi.

Sul n. 50 del dicembre 2015 di Shiatsunews si riporta l’esperienza di un progetto condotto a Cuneo in un centro Diurno assieme a persone con disagi differenziati e complessi, con deficit sia cognitivi che fisici. Gli obiettivi di questo progetto ben riassumono gli intenti che informano gran parte di questo tipo di progetti:

  • favorire relax psicomotorio con riduzione di comportamenti dovuti all’ansia (si tratta spesso di comportamenti verbali e non-verbali stereotipati)
  • favorire consapevolezza rispetto alla sensazioni elementari provenienti dal proprio corpo (contatto tattile e percezione del respiro)
  • migliorare la coordinazione/integrazione tra schemi motori e schemi mentali (possono ottenersi anche tramite ginnastica attiva o insegnamento di esercizi pratici semplici)
  • favorire un clima tra le persone del Diurno più disteso (spesso esistono difficoltà relazionali)

In particolare l’autopercezione di sè attraverso il tocco è una risorsa terapeutica che solitamente non viene apprezzata nelle relazioni di cura, mentre è fondamentale, soprattutto con un certo tipo di disabilità. Significativo in merito quanto scrive un’operatrice-responsabile del progetto appena riportato, Elvira de Nucci quando scrive: “la percezione del ‘come-mi-sento-ora’ anche in situazioni di disabilità intellettiva aumenta la possibilità che la persona aumenti i comportamenti e le situazioni di benessere e trovi con l’aiuto degli operatori le modalità di affrontare/superare i comportamenti problematici”.

Non mancano naturalmente le criticità. Tra quelle più spesso riportate nei diversi progetti passati in rassegna segnalo:

  • le difficoltà motorie dei partecipanti
  • il poco tempo a disposizione rispetto alle necessità del trattamento
  • la presenza dei parenti durante i trattamenti (pudore o imbarazzo/invadenza del parente)
  • la scarsa circolazione delle esperienze tra i partecipanti dopo i trattamenti (necessità di focus-group)

Alle difficoltà soggettive di alcune persone, si sommano quindi delle problematiche oggettive che possono essere affrontate nella misura in cui simili progetti vengono integrati nei protocolli di cura delle strutture ospitanti e non restano utili quanto sporadici momenti di “svago”.

Lì dove la sensibilità del management ospedaliero o delle ASL ha colto la profonda valenza terapeutica dello shiatsu, come nella ASL Guido Salvini di Rho, Bollate e Garbagnate Milanese, gli operatori shiatsu sono riusciti a mettere in piedi un vero e proprio studio (disegno della ricerca, selezione del campione, elaborazione di questionari, report dei risultati) sugli effetti dei trattamenti shiatsu sui pazienti oncologici. I dettagli di questa rilevante esperienza potete trovarli su Shiatsunews numero 43 marzo 2014.

Se lo ritieni utile lascia qui il tuo commento o riporta la tua esperienza

Shiatsu e Anma

L’originalità di Masunaga non sta solo nelle innovazioni che portò nello Shiatsu a livello di tecnica ma anche in una visione del suo personale progetto di ricerca. Masunaga è un maestro di discipline orientali giapponesi che non si è limitato a venire in contatto con la cultura occidentale. Egli l’ha fatta propria, l’ha apprezzata e ha stabilito un dialogo, a volte conflittuale, ma costante e ininterrotto. Masunaga aveva un’alta considerazione della scienza e del metodo sperimentale di verifica dei risultati scientifici, e intendeva porre le acquisizioni della cultura tradizionale da cui proveniva in condizione di confrontarsi senza riserve con la scienza occidentale. Non mostra pregiudizi verso altre forme di trattamento: senza mezzi termini, scrive che na differenza di altri, non ritiene il massaggio occidentale, lo shiatsu e l’anma tre terapie distinte con grandi differenze tra loro. Tutte e tre hanno dimostrato la loro efficacia. Sono piuttosto le logiche di intervento che differiscono. L’anma e il massaggio europeo (probabilmente Masunaga fa riferimento a tecniche fisioterapiche o di massoterapia) stimolano direttamente la circolazione sanguigna, rendono scorrevole il sangue stagnante nella cute e nei muscoli e quindi diminuiscono la rigidità e la tensione derivanti da stasi circolatorie. Invece lo shiatsu agisce principalmente sulla struttura ossea, le articolazioni e i tendini operando sui meridiani, il cui cattivo funzionamento altera la struttura corporea e il sistema nervoso vegetativo”.

An- significa “calmare con la mano” e ma significa “massaggiare per rimuovere”. E’ il massaggio giapponese tradizionale. Originario della Cina si avvale di tecniche di stiramento, frizione e mobilizzazione finalizzate al ripristino della salute. Secondo Masunaga l’An-ma ha una forma ben precisa, a differenza dello shiatsu che è invece l’incontro di diverse pratiche manuali, il cui unico minimo comune denominatore è la pressione mantenuta costante.

Apparentemente dunque An-ma e shiatsu hanno effetti diametralmente opposti in quanto l’Anma attiva il versante simpatico del SNA mentre lo shiatsu stimolerebbe il parasimpatico. Ma d’altra parte lo shiatsu deriva dal più antico Anma. Come si spiega dunque questa apparente contraddizione?

E’ lo stesso Masunaga a chiarire la questione. La radice, l’origine è comune. Commentando l’ideogramma che sta per -ma Masunaga osserva come questo rappresenti l’atto di spostare un oggetto da una parte ad un’altra. Calato nel trattamento manuale egli traduce “muovere le mani come per lucidare una pietra”. Questo significa “dispersione”. L’altro ideogramma, che sta per An-, rappresenta l’atto del riempire, ma indica anche una cucitura, cioè una pezza di stoffa unita tramite un filo ad un tessuto identico a simboleggiare che quando un elemento manca qualcosa dello stesso genere colma tale insufficienza. Da qui la correttezza anche etimologica del significato di An- come “adagiare la mano con calma”. In questo caso in termini di trattamento si parla di “tonificare”. Se facciamo riferimento alla metodologia di lavoro di Masunaga ricordiamo che individuare i kyo (vuoto) e il jitsu (pieno) del meridiano è essenziale per capire il tipo di intervento da praticare. Il lavoro avrà poi il compito appunto di “tonificare” o “disperdere”. Nel caso di un pieno jitsu si attuerà la dispersione, viceversa la tonificazione in caso di un vuoto o kyo. Quindi la modalità di lavoro è simile. Ecco quindi che a prescindere dalle evoluzioni nella forma e della fortuna dell’Anma, è legittimo considerarla come la tecnica progenitrice dello Shiatsu, semmai quest’ultimo avrà una maggiore consapevolezza sugli effetti neurofisiologici del suo intervento rispetto alla pura manualità pratica dell’An-ma.

 

Bibliografia

Masunaga S., Manuale di Shiatsu per corrispondenza, II° mese, 2014

Masunaga S., Zen Shiatsu, Mediterranee, 1979

Empatia e simpatia vitale

Cosa significa considerare l’empatia come uno strumento di lavoro?  

Certo non significa organizzare un comportamento amicale e sorridente allo scopo di ingraziarsi il cliente a scopo di lucro! A un primo livello implica la capacità di sintonizzarsi con il sistema energetico che abbiamo di fronte e per far ciò naturalmente il nostro cuore deve essere quanto più “vuoto” possibile, ossia libero da attaccamento e condizionamento verso quel sistema energetico. Impresa già complicata, e che necessità di grande  sensibilità da parte dell’operatore. Ad un secondo livello, più profondo, lavorare con l’empatia ha dei significati molto più materialisti.

Già gli scienziati settecenteschi dell’illuminismo europeo si erano arrovellati sui misteriosi meccanismi “simpatici”. Come accadeva che un’affezione sviluppatasi in un punto del corpo potesse avere conseguenze da tutt’altra parte? Xavier Bichat, uno dei più grandi medici scienziati del suo tempo diceva che la simpatia è una parola “che serve a coprire la nostra ignoranza delle connessioni che legano i fenomeni”. Bichat aveva intuito, ma non conosceva ancora con precisione, l’elevato livello di integrazione dei nostri neuroni, la cui connessione (a livello spinale) rende possibile la comunicazione a distanza di stimoli nervosi.  Il Settecento europeo aveva celebrato in diverse discipline la simpatia/empatia (si pensi ad Adam Smith il padre dell’economia politica che la collocava tra i più alti sentimenti morali, o a Kant che la considerava una grande qualità politica). Oggi, alle nostre latitudini, ci pare un’ingenuità persino nel dominio limitatissimo della morale, sebbene la medicina ufficiale stia riscoprendo il valore terapeutico della relazione umana… 

Eppure Masunaga, portatore di una tradizione di cura orientale che fa del rapporto con l’individuo specifico una determinante della cura denuncia che quanto più l’uomo pare civilizzato “e funziona con la porzione superiore della corteccia, la più evoluta in termini biologici,”tanto più la sua sensibilità vitale si ottunde, e anche la sua capacità di provare ‘simpatia’.  Sembra di sentir parlare Jean Jacques Rousseau!

Dal francese però lo divide un punto importante. Non è ad una legge generale che è affidata l’unità tra gli uomini ma alla pratica terapeutica. Masunaga parla proprio di simpatia vitale come sensazione di unità, che si prova durante il trattamento con il ricevente.

Scrive ancora il Maestro: “L’uomo moderno sopravvaluta le cose materiali perciò è animato da scarsa simpatia vitale. Chi comprende l’essenzialità della simpatia vitale non ha bisogno di capire altro”. Si direbbe quindi che egli preferisca restare ancorato ad un’idea “vitalista” dell’empatia, come manifestazione dello “spirito vitale” che permette la sensazione di unità tra ricevente e operatore.

Sarebbe quindi rimasto alla visione pseudoscientifica del Settecento??

In realtà Masunaga vuole restare ben agganciato alla materia. Fa quindi riferimento alla fisiologia, a quella che chiama “legge di interiorizzazione degli organi e dei visceri” secondo la quale appunto i nervi del SNA passano attraverso il midollo spinale prima di raggiungere gli organi. Nella radice posteriore del midollo spinale passano anche le fibre sensitive che dalla cute vanno verso il cervello. Queste due componenti (nervi  e fibre sensitive) permettono di individuare precisi legami organo-cute che autorizzano ad ipotizzare che ogni anomalia d’organo stimola con decisione il nervo ad esso connesso (SNA) e questo stimolo si ripercuote anche sulle fibre sensitive vicine al nervo autonomo interessato. Ecco quindi una possibile spiegazione per il fenomeno della “simpatia” che tanto interessava Bichat secondo la quale l’affezione in un punto si ripercuote in distretti lontani.

Pertanto sintomi legati alla sensibilità/percezione in un punto della cute (caldo, freddo, dolore) rendono possibile identificare l’organo “disturbato” correlato. Ma allora questa simpatia vitale è qualcosa che riguarda “lo spirito” oppure vi è una spiegazione scientifica che connette disturbo d’organo e reazione cutanea? Ecco, dove per un occidentale esiste un dubbio filosofico per Masunaga esiste solo un problema pratico .  Se infatti “la cute prova disagio, l’organo farà altrettanto”.

Su cosa sia la simpatia vitale bisognerà studiare ancora…ma ciò che conta è che sia percepibile attraverso una serie di pressioni shiatsu fatte secondo un preciso criterio.

Bibliografia

Bottaccioli F., “Due vie per la medicina scientifica al suo sorgere”, Aracne, 2013.

Masunaga S. “Manuali di Shiatsu per corrispondenza” I°mese, Shiatsumilano, 2014.

Masunaga S. “Zen Shiatsu” Mediterranee, 1979.

Origini dello Shiatsu

Shiatsu (Shi-dita Atsu-tenere-mantenere-premere) è un termine relativamente recente coniato negli anni Dieci del XX secolo da Tamai Tempaku, esperto di Anpuku, Anma e Do-in, tecniche di manipolazione più antiche che sono le progenitrici dell’odierno Shiatsu. Queste tecniche furono sviluppate in Cina lungo un arco di diversi secoli. Portate in Giappone da monaci-medici buddisti coreani le “pratiche di salute” si accompagnarono alla penetrazione del buddismo nell’isola. Tra le pratiche di salute importate dalla Cina, Il do-in è molto simile allo Yoga. Tra le tecniche manuali troviamo invece l’Anma e l’Anpuku da cui deriva in gran parte lo shiatsu attuale. L’Anma (An-”premere” Ma-”strofinare”) è un tipo di massaggio che si avvale di tecniche di stiramento, frizione e mobilizzazione delle articolazioni, è anche noto come “il massaggio dei samurai”. L’Anpuku ( An ha qui il significato di “calmare con la mano” puku o fuku  “ventre”) è un trattamento manuale dell’addome che ha lo stesso ceppo originario cinese ma poi si è particolarmente arricchito e sviluppato in Giappone in epoca medievale, sebbene il testo di riferimento appartenga all’epoca Edo e sia del 1827 “Anpuku Zukai” (Dizionario illustrato del massaggio addominale)di Ota Shinsai. Questo testo uscirà tradotto in italiano (nel 2019) grazie ai tipi di Shiatsu Milano Editore.

Come si diceva la codificazione dello Shiatsu è recente (XX secolo) e di matrice giapponese. Il primo testo esclusivo dedicato è del M° Tempaku “Shiatsu-Hou” (1939). Il ministero della Sanità giapponese riconobbe lo Shiatsu solo nel 1955, grazie al lavoro iniziato già dal 1940 da Tokujiro Namikoshi che aveva fondato il Japan Shiatsu College dove si insegnava uno Shiatsu sugli tsubo (i punti di agopuntura), poi “adattato” alle esigenze post-belliche, in cui i vincitori della guerra avevano imposto uno sradicamento della cultura tradizionale. Namikoshi “orientando” lo shiatsu verso un terreno comprensibile agli occidentali occupanti lo avvicinò ai principi fisioterapici e alla fisiologia occidentale. E’ probabile però che così facendo riuscì anche a salvarlo permettendogli di sopravvivere. Quando la distensione internazionale lo permise, anche l’ anima più “orientale” dello shiatsu rispuntò, grazie al lavoro di Shizuto Masunaga, già allievo di Tenpeki Tamai e di Namikoshi. Fu Masunaga e la scuola da lui fondata (Iokai Shiatsu Center nata nel 1968) a resuscitare la lettura energetica dello shiatsu ampliando a tutto il corpo la rete dei meridiani principali e inserendo nella pratica i concetti di pieno e vuoto (kyo e jitsu) ancora oggi alla base del suo metodo. Codificò inoltre le mappe per le aree di diagnosi addominale e dorsale. Semplificando al massimo si può dire che Namikoshi ha sviluppato uno shiatsu che guarda più ai criteri di intervento classici della medicina occidentale (orientata dal sintomo e mirante al suo trattamento diretto), mentre Masunaga ha valorizzato maggiormente la sua declinazione orientale, centrata sui concetti di Qi (Ki), meridiani energetici e dimensione percettiva dell’operatore. Entrambi però prendono le mosse dalla definizione di Shiatsu data dal Ministero giapponese della Sanità e del Benessere che qui riportiamo: “la shiatsuterapia è una forma di manipolazione che si esercita con il pollice, le altre dita e le palme delle mani, senza l’ausilio di strumenti, meccanici o d’altro genere. Consiste nella pressione sulla cute, intesa a correggere le disfunzioni interne, a conservare e migliorare lo stato di salute o a trattare malattie specifiche”.

 

Per un approfondimento sulla storia dello shiatsu

http://www.ukigumo.it/un-po-di-cultura/shiatsu/

 https://vivashiatsu.blog/lo-shiatsu-a-torino/le-origini-dello-shiatsu/

Per l’attualità e le risorse editoriali https://www.shiatsumilanoeditore.it/

Altre informazioni di carattere storico si trovano nell’introduzione de “I meridiani Shiatsu” Atlante di Fabio Zagato, Edra Edizioni, Milano, 2015, e nel saggio dedicato allo Shiatsu di Andrea Mascaro che si trova in “LA PNEI e le disciplinee corporee” di AA.VV., Edra Edizioni, Milano, 2018.

Le caratteristiche della pressione

Secondo Masunaga rispetto a tutti gli altri tipi di manipolazione, il metodo shiatsu deve possedere tre caratteristiche imprescindibili.

La pressione deve sempre essere:

1) perpendicolare

2) ferma/costante

3) con “concentrazione mentale”

Ciascuna di queste tre “regole auree” si presta naturalmente a più interpretazioni. Ad esempio un chiodo ben piantato nel muro è perpendicolare alla parete, fermo e concentrato in un punto. Se adottassi questa immagine penserei ad una pressione puntuale, forte ed estremamente localizzata. Posso tradurla in pratica come una manipolazione vigorosa, magari con l’uso intenso e ripetuto del pollice e una buona dose di forza muscolare. Ci sono a tutt’oggi degli operatori che interpretano così il loro shiatsu. Non è però il caso di Masunaga. Al contrario quando egli affronta il tema della perpendicolarità contrappone sistematicamente la pressione da spinta alla pressione come sostegno. Se al posto di un martello che pianta un chiodo nel muro immaginiamo due assi che si sostengono nel loro punto di equilibrio avremo egualmente una perpendicolarità, ma mentre nel caso del martello possiamo dire che uno dei due poli (il martello) è certamente la parte attiva e infligge all’altro (il chiodo) la sua posizione perpendicolare grazie all’uso localizzato di forza muscolare, nel caso delle assi chi può dire quale delle due assi sostiene l’altra? l’unica cosa certa è che se si perde il punto di equilibrio (garantito dalla perpendicolarità) entrambe cadono a terra! Nel primo caso c’è relazione oppositiva e diametrale tra lo yang e lo yin, nel secondo lo yang e lo yin si distribuiscono lungo le due assi che esercitano entrambe una pressione e si sostengono reciprocamente.

Nel caso del martello sul chiodo la pressione è impartita con forza muscolare e a brevi impulsi. Se il martello continua a premere secondo questa modalità il chiodo si appiattisce e la sua funzione si esaurisce. Nel caso delle assi invece la pressione è costante e non è richiesto alcun intervento esterno per il loro mantenimento in equilibrio. Se l’operatore Shiatsu sarà il martello il ricevente farà la parte del chiodo, ma se l’operatore sarà una delle due assi, il ricevente si accorgerà della condizione di equilibrio più che dell’operatore.

Per quanto riguarda la concentrazione mentale, anche in questo caso l’apparenza inganna. Masunaga non pensava affatto al tipo di concentrazione di cui facciamo esperienza quando ci applichiamo ad un compito complesso. Com’è noto quando siamo impegnati in un’attività di tipo intellettuale stiamo facendo lavorare a livello viscerale maggiormente il sistema simpatico che regola tutta una serie di funzioni vitali mettendole “a risparmio energetico” per favorire la connessione sinaptica che richiede un gran dispendio energetico (i neuroni sono cellule arcaiche a scarsissimo risparmio energetico). Tuttavia se facciamo Shiatsu con la testa, ci dice Masunaga, non siamo in contatto profondo, ma superficiale. Restiamo rigidi, il corpo è teso e dalle mani la rigidità arriva alle spalle. E’ un’esperienza comune che chiunque ha sperimentato applicandosi ad un nuovo compito manuale! Qui si trova uno degli aspetti meno intuitivi dello shiatsu e anche più affascinanti. L’attenzione non va portata sul punto di pressione ma sul respiro, sulla nostra pancia Hara. Masunaga ha dedicato molte righe, in diverse opere al ruolo del respiro, e tutti gli insegnanti di shiatsu di qualunque orientamento insistono molto sulla respirazione corretta. Così la concentrazione mentale va focalizzata sulla pancia e non nella testa. Il risultato sarà che attenzione e tranquillità si coniugano invece di restare separati come avviene nell’accezione occidentale di attenzione.

 

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